Quando eravamo piccoli, verso la metà di Luglio, io e la mia marea di cugini, partivamo tutti insieme per le vacanze. I grandi ci stipavano in un paio di macchine e ci portavano al mare, in due villette comunicanti sulla spiaggia.
Per noi era una gran pacchia, aspettavamo l’estate tutto l’inverno per scorazzare due mesi polverosi e felici dalla mattina alla sera, in branco. La notte dormivamo in tre o quattro per letto, facendo una confusione terribile fino a che non crollavamo sfiniti.
L’ultima estate tutti insieme, non mi ricordo chi di noi, s’inventò le categorie di giochi “del giorno” e di giochi “della sera”. I primi erano tutti quelli che si potevano fare all’aperto, in strada o sulla spiaggia; i secondi, invece, li facevamo in camera, dopo cena.
Il più gettonato, quello che diventò il nostro preferito, era Le torturine di Candy Candy. Facevamo il tocco per assegnare il ruolo di Candy e Susanna imbrogliava quasi sempre per farla lei. Gli altri, a turno, si spartivano i ruoli degli amici e dei nemici, i malvagi Nial e Iriza.
Candy, la povera orfanella, veniva legata a pancia in giù sul letto e i fratelli cattivi ci studiavano su l’anatomia, la torturavano di pizzicotti e le facevano il solletico mentre gli amici cercavano di salvarla.
I maschi, col tempo, diventarono più ingegnosi e perfezionarono gli esperimenti, per esaminarci indossavano dei guanti di lattice color crema rubati dal cassetto della cucina e usavano le mie matitine di Hello Kitty come termometri. Candy doveva rimanere assolutamente immobile mentre gli altri discutevano della sua condizione fisiche con aria da scienziati.
Una sera, verso la fine di Agosto, aveva piovuto tutto il giorno e noi eravamo rimasti in casa ad annoiarci, dopo una lunga sessione di torturine spogliammo Martino, il più piccolo, e lo sistemammo in piedi sul letto, di fronte a noi per cantargli la sua canzoncina preferita. A turno gli facevamo dondolare di qua e di là il minuscolo pisellino, come la campana della filastrocca, e intanto cantavamo in coro “Fra martino campanaro dormi tu…suona le campane din don dan”.
In quel momento entrò mia zia in camera, ci vide e lanciò un urletto; poi chiamò mia madre “Maria” stillò, “Muoviti, vieni qua”.
Mamma accorse preoccupata “Che è successo?” disse.
“Guarda” mia zia ci indicò con la mano, eravamo sudati e scapigliati, mezzi nudi e canterini, “Questi ragazzini sono troppo…troppo…” non trovava la parola adatta “…troppo liberi” sbottò alla fine.
“Ma sono solo bambini” disse mia mamma.
Noi non capivamo perché gridassero tanto, Martino scoppiò a piangere e io, confusa, cercai di proteggerlo “Stavamo solo giocando a Fra Martino”, dissi facendo uno sforzo incedibile per trattenere le lacrime. Non volevo piangere perché mi sembrava un ammissione di colpa, e io non avevo fatto niente. Ma non servì a molto. Da quel momento le cose cambiarono. Prima di tutto ci divisero, femmine in una stanza, maschi in un'altra, l’estate stava per finire e in casa c’era un’aria pesante.
Chiedemmo spiegazioni, qualcuno all’inizio si rifiutò di obbedire alla nuova regola, ma non ci fu niente da fare, la decisione degli adulti fu irrevocabile.
Noi bimbe, nella nostra stanza, continuammo per un po’ con i giochi “della sera”, ma da sole non era più tanto divertente. Prima che l’estate finisse avevamo già perso interesse.
Poi ricominciò la scuola.
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