venerdì 21 settembre 2007

La gara di mitto

Se solo ci ripenso adesso. Se solo ripenso a quanta vergogna ho provato, in quella lunghissima mezz’ora, vengo sopraffatta da una rabbia così profonda, da un tale rodimento di fegato, che nessun lasso di tempo potrà mai cancellare, nonostante la brillane laurea in psicologia e le pubblicazioni su Riza psicosomatica.
Lui e la sua maledettissima gara di mitto.

Quella mattina, l’insigne Professor Dottor Mastrangelo, vice-rettore della facoltà di medicina, esperto in neuropsichiatria infantile nonché presidente della mia commissione d’esame, m’aveva accolta con un espressione di arroganza e sufficienza da irritare una santa, figuriamoci io.
Ero riuscita a rimanere ferma, seduta, immobile davanti a lui senza mettermi a piangere, solo perché mi costringevo a concentrarmi sul suo parrucchino, di un osceno colore rossiccio, e il fatto che lui cadesse a pezzi, che era nella curva discendente della vita, mi dava un senso atavico di sicurezza.
“Allora signorina, mi parli di queste fasi”.
Ok. Calma e concentrazione. Le fasi. Le fasi le so. “Du… dunque” inizio balbettando, con la bocca così secca che neanche in pieno Sahara, “praticamente le fasi sono tre: orale, anale e fallica…”
“’Genitale è più corretto” mi corregge, “non succede solo ai maschietti”
Dice “maschietti”. Chi è che dice ancora “maschietti”? Ma che fa, sfotte?. M’impappino, immediatamente, “No, si, giusto, genitale, infatti… allora… praticamente…”, cerco di recuperare, “la prima si verifica nel neonato, che infatti tende a mettersi le dita in bocca e a mangiare qualsiasi cosa gli capita per le mani, la seconda è… praticamente…”
“Praticamente o teoricamente?” s’informa lui con un insopportabile aria da tuttologo, “la prego, si risparmi tutti questi inutili intercalari”, e io, “E… si, certo, dunque… allora… stavo dicendo…” Non mi ricordavo più quello che stavo dicendo.
“Parlavamo della fase anale” fa lui con un ghigno malefico stile stragatto.
Come è possibile che quest’uomo sia un medico e salvi esseri umani?, mi domandai mentre lui continuava a parlare, “Nella fase orale si trae piacere dall'incorporare, si sugge non solo per il bisogno di nutrirsi, ma anche per un desiderio di tipo sessuale…” disse lui calcando le parole “nella fase anale il bambino eroticizza altre parti… su, vada avanti…”
Io avevo la pianura padana nel cervello, e un unica domanda risplendeva al centro: Perché diavolo ho portato Freud?
Tormentandomi le mani sudaticce cerco di proseguire “Si, dunque… la seconda, la seconda fase è quella… quella…”
“Anale, lo abbiamo già detto” commenta lui con un espressione da psicotico.
“già… analeanale anale…” ripeto io imbambolata, come in quei giochi stupidi in cui ti fanno ripetere una parola che sembra senza senso tante volte di seguito fino a che non ti rendi conto che stai dicendo qualcosa di volgare tipo “ionico”.
La temperatura corporea mi era aumentata di circa tre gradi nel giro di due-tre secondi, un sudore sottile mi aveva ricoperto ovunque e mi cominciò a colare sulla schiena.
Era il mio esame di maturità, cazzo. Stava andando malissimo e in più parlavo di buchi di culo con un uomo più che adulto, un dottore porca miseria, che era lì per giudicarmi, con la bilancia del potere che pendeva inesorabilmente dalla sua parte.
“In questa seconda fase…” riprovai, cercando di pensare ad un qualsiasi sinonimo adatto. Consapevole di non riuscire a sopportare di nominare anche solo un'altra volta quel maledettissimo orfizio sul quale lo psichiatra ebreo aveva fondato metà delle sue teorie, “in questa seconda fase il bambino trova eccitante il momento in cui i genitori… in particolar modo quello di sesso opposto… insomma… stimola questa zona… per esempio… durante il cambio del pannolino… il bambino può addirittura avere l’istinto di mangiarsi le proprie feci… proprio per un’istintiva… ehm… ricerca del piacere”.
Oddioddioddio. Ho detto che mangiare merda è bello? Cerco di recuperare, “Freud descrive il neonato come un essere già capace, fin dai primi giorni di vita, di provare sensazioni erotiche, fino a circa i quattro anni d’età, dopo subisce una quiescenza fino alla pubertà… sposta l’attenzione…”
“Signorina, questo concetto è un po’ confuso, vuole essere più precisa, non so, fare qualche esempio?”
“Volevo dire che il bambino… insomma il bambino…” erano cose che sapevo benissimo, le avevo ripetute senza nessun problema, anche a mio padre, appena due giorni prima, porcamiseria.
“Forse vuole dire che trattenendo e rilasciando gli escrementi il bambino sensibilizza la zona anale e quella uretrale attivando un ulteriore fonte di piacere?”
“Si, proprio così, infatti…” mormoro io ormai del colore del ravanello.
“Signorina…”cercò il mio nome sul registro che aveva davanti, fece scorrere l’indice sull’elenco, lo trovò, “…signorina Onorato, non mi sembra molto preparata, non ha mai visto i ragazzi quando si mettono in fila e fanno a gara per vedere chi manda il mitto più lontano?”
“Il che?” feci io allibita, cercando di recuperare nella memoria qualcosa che mi indirizzasse verso una comprensione, se non proprio totale, per lo meno orientativa dell’argomento in questione.
Mitto mitto, pensavo frenetica, mitto, dal latino, mittere, emettere, lasciar andare, lanciare fuori, che cavolo è la gara del mitto porcaputtana?!
“Il mitto signorina, il getto, come lo chiama lei?” si spazientì lui “Quelle gare che fanno i ragazzini tra di loro. Non li ha mai visti?”
No, non li avevo mai visti, avrei dovuto rispondere. Avrei dovuto dire che i miei amici facevano a gara a chi ce lo aveva più lungo, a chi beveva più birre in una sola sera o magari a chi riusciva a farsi più ragazze in un estate, ma questa gara del mitto proprio non l’avevo mai vista né sentita, forse ai suoi tempi, avrei dovuto dire.
Quella notte sognai cinque Huckleberry Finn, col cappello di paglia in testa, le braghe calate e i pisellini in mano, che cercavano di superare con la piscia una linea fatta di legnetti. Io correvo avanti e indietro brandendo un metro da sarta.
Forse era a qualcosa del genere che si riferiva; non mi fu mai particolarmente chiaro, non lo fu per nessuno della commissione. Forse se lo era inventato solo per mettermi in difficoltà.
Mi diplomai con un tristissimo 41.
L’onta non fu mai lavata.

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